La notizia è ufficiale ed è stato lui stesso a darla: Cesare Fumagalli, dopo 16 anni di intenso lavoro, lascia la segreteria generale di Confartigianato.
Aveva preso possesso dell’Ufficio a Roma il primo giorno di Febbraio del 2005 e lo lascerà, presumibilmente l’estate prossima nel 2021, dopo avere affiancato il suo successore nei suoi primi passi.
Fumagalli, lecchese doc, ha condotto la più rappresentativa organizzazione italiana dell’artigianato e della micro e piccola impresa (con 700.000 iscritti) in anni, come egli sottolinea, «sereni, dal 2005 al 2008; travagliati, dal 2009 con il disastro mondiale provocato dal fallimento della Lehman Brothers; fiduciosi in una ripresa economica dal 2018 e impensabili con il mondo soffocato da una devastante pandemia dal 2019 a oggi».
Dopo quello di Manlio Germozzi, fondatore di Confartigianato nel 1946, il mandato di Fumagalli è stato il più lungo. Dal suo elevato punto di osservazione che cosa intravede per il futuro economico del Paese?
Con un’arguta metafora dice: «Dobbiamo essere pronti quando la “safety car” uscirà di scena a riprendere la corsa speditamente. Ho però l’impressione che siamo già in ritardo perché le risorse che arriveranno dall’Europa dovranno essere allocate per il 70 per cento nel 2022 e il restante 30 per cento nel 2023; praticamente, domani.
Mi pare che latitiamo e non tanto sui progetti da presentare, quanto sulla capacità di eseguirli». Più chiaro di così.
Fumagalli lascia un’organizzazione che in 16 anni, con il lavoro dei suoi associati, ha contribuito a far crescere il Pil italiano, mentre buona parte di coloro che avrebbero dovuto farne un uso appropriato, per accrescere almeno la qualità dei servizi, lo hanno dissipato.
C’è da augurarsi che il suo successore possa avere la soddisfazione di vedere decrescere un pochino il debito pubblico. «È la speranza che abbiamo tutti», chiosa Fumagalli che epigrafico aggiunge,«è stata comunque, per me, un’esperienza faticosa, ma esaltante».